CERIGNOLA – Albanese, Colucci, Zamparese, Lionetti, Marino. E ora Bufano: l’elenco degli assessori dimissionari senza dare la minima spiegazione si allunga, come quello dei consiglieri che lasciano la maggioranza. Sintomo di un ambiente inquinato, che a voler pensare il meglio vede gente abbandonare la nave.
Difficile sapere perché in 3 anni e mezzo dal vicesindaco al delegato plenipotenziario a lavori pubblici e urbanistica, 6 amministratori gli abbiano lasciato le deleghe in mano. Alcuni erano stati eletti, altri lo hanno seguito dalla prima ora. Né tra i banchi del Consiglio comunale le cose vanno meglio. Avanti il prossimo: chissà ora a chi tocca.
DEFEZIONI IN GIUNTA | In principio fu la cattolica Domenica Albanese che, senza dare spiegazioni ad alcuno, lasciò la delega, presto seguita da Giuliana Colucci e Pia Zamparese. Quindi, andarono via il fedelissimo Antonio Lionetti, poi Anna Lisa Marino. Oggi Tommaso Bufano, che proprio qualche giorno fa, a detta dello stesso sindaco, aveva ricevuto in casa una mattiniera perquisizione della Guardia di Finanza. Ma, certamente, Bufano s’è dimesso per impegni personali. E chissà chi lo sostituirà.
Dalla signora Albanese a Bufano, i motivi certo cambiano. Ma c’è un comune denominatore: non ci è dato conoscerli. Così il ras dell’Ofanto si trova con le deleghe ad interim di bilancio, lavori pubblici e urbanistica.
DEFEZIONI IN CONSIGLIO | Nel frattempo, da subito in Consiglio lasciava la maggioranza dapprima Teresa Lapiccirella. Poi anche Antonio Bonavita. Infine Vincenzo Specchio. Di quelli dichiarati, perché poi, di volta in volta i mal di pancia sono stati tanti, specie quando a luglio per il maxi aumento Tari l’Aula consigliare si riempì di “tifosi della Lazio”, con le loro rassicuranti magliette celesti. Di recente anche la fedele Loredana Lepore ha rimesso l’incarico di capogruppo di maggioranza.
SENZA PIÙ MAGGIORANZA | E lui, senza più una maggioranza numerica, si giova man mano della compiacenza e delle telefonate che portano via dall’Aula abili calcolatori, solo sulla carta all’opposizione. Giochi di quorum, e niente più.
Insomma, del plebiscito del 14 giugno 2015, quando Metta salì a Palazzo di Città, non resta granché, né della squadra che lo sorresse, né della fiducia della gente. Resta qualche appalto a 6 zeri con singoli partecipanti alle gare o un’interdittiva antimafia stranamente senza seguito. Ah, ci sono anche le buche che, malgrado la tappabuche miracolosa, si sono riaperte: quelle sulla strada. Perché le altre buche in cui ci stanno gettando rischiano di far sprofondare le persone perbene.